Tutta la vita che resta

Autrice: Roberta Recchia

Edito da Rizzoli

Pubblicato nel marzo del 2024

Pag. 400

Genere: Narrativa contemporanea

DESCRIZIONE DEL LIBRO

Uno strappo che sembrava impossibile da ricucire, una famiglia che nel corso degli anni ritrova la strada nella forza dei legami. Ci sono libri che ti entrano dentro, che ti accompagnano per mano nella vita di tutti i giorni. È ciò che succede con l’esordio magnetico di Roberta Recchia, una storia da cui non ci si stacca, con protagonisti vivi, autentici. Come Marisa e Stelvio Ansaldo, che nella Roma degli anni Cinquanta si innamorano nella bottega del sor Ettore, il padre di lei. La loro è una di quelle famiglie dei film d’amore in bianco e nero, fino a quando, anni dopo, l’adorata figlia sedicenne Betta – bellissima e intraprendente – viene uccisa sul litorale laziale, e tutti perdono il proprio centro. Quell’affetto e quella complicità reciproca non ci sono più, solo la pena per la figlia persa per sempre. Nessuno sa, però, che insieme a Betta sulla spiaggia c’era sua cugina Miriam, al contrario timida e introversa, anche lei vittima di un’indicibile violenza. Sullo sfondo di un’indagine rallentata da omissioni e pregiudizi verso un’adolescente che affrontava la vita con tutta l’esuberanza della sua età, Marisa e Miriam devono confrontarsi con il peso quotidiano della propria tragedia. Il segreto di quella notte diventa un macigno per Miriam fin quando – ormai al limite – l’incontro con Leo, un giovane di borgata, porta una luce inaspettata: l’inizio di un amore che fa breccia dove nessuno ha osato guardare. “Tutta la vita che resta” è un romanzo dolcissimo, doloroso, accogliente, intimo e corale, che esplora i meccanismi della vergogna e del lutto, ma soprattutto dell’affetto e della cura, e li fa emergere con delicatezza sapiente.

RECENSIONE

Carissima Anima Amanti dei libri,

a volte oltre alle parole scritte esistono silenzi che trapelano e scuotono profondamente.

Una coppia, Marisa e Stelvio, si innamora nella Roma degli anni cinquanta.

Formano una famiglia, si amano, si custodiscono tutti vicendevolmente.

Poi una sera quella famigliola si spezza.

Una vita rubata.

Il lutto, il vuoto, la vita che non sarà più la stessa.

Eppure, a volte, anche nel buio più fitto si può accendere una luce!

Non so bene se riuscirò a comunicarti tutte le emozioni, i sentimenti e i turbamenti che ho vissuto leggendo “Tutta la vita che resta” di Roberta Recchia edito da Rizzoli.

Una cosa è certa, ci sono romanzi che non si leggono: si attraversano, si vivono, ti scorrono nelle vene, ti restano dentro… impigliati sotto la pelle e non vanno più via.

“Tutta la vita che resta” è uno di questi.

Non si consuma in qualche ora di lettura, ti si tatua nel cuore, ti abita nell’anima, ti rallenta nei pensieri e ti imprigiona tra le pagine, ti apre una ferita lenta che non chiede di guarire subito. Ti accompagna come un respiro affannato, speranzoso…

Ti custodisce come una mano che non stringe la tua, ma resta lì, vicina, silenziosa, rispettosa come fa Corallina con la piccola Miriam.

Questo romanzo è dolore, morte e redenzione, è l’eco di qualcosa che non torna, ma che si trasforma. È una luce che si affievolisce ma non si spegne. È la goccia che scava la roccia…

 È una storia di vuoti — di quelli che si aprono all’improvviso e non si richiudono mai del tutto — e di presenze umili che riescono, col tempo, a portare un po’ di luce anche lì dove sembrava che nulla potesse più fiorire. L’umanità di questo romanzo ti avvolge e ti coinvolge, ti scalda come una coperta nel freddo del dolore.

È anche un libro che ci insegna qualcosa sull’amore, non quello che ti salva con effetti speciali, non quello perfetto che trovi sui social. Piuttosto, un amore che resiste, che non giudica, che sa stare, che sa aspettare, un amore che nel silenzio dà tutto. Quello che non forza il dolore, ma lo ascolta, lo accoglie, cerca di lenirlo con dolcezza.

Quello che Roberta Recchia fa con le sue parole è un atto di fiducia: ci affida una storia dura e tenera insieme, mai spettacolare, e proprio per questo così umana. Scrive con pudore, con una lingua scarna e insieme lirica, che non cerca l’effetto, ma l’autenticità. E ci riesce.

Fa breccia nella parte più fragile delle nostre esistenze.

Tutta la vita che resta non racconta solo la morte, ma la trasformazione che ne segue. E lo fa senza filtri, ma anche senza disperazione. Come se anche nel fondo del fondo, da qualche parte, ci fosse sempre una possibilità di ricominciare.

Nel buio lascia sempre che si intraveda una luce.

Uno piccolo spiraglio nelle crepe del cuore.

Non te lo voglio raccontare.

Voglio che ti lasci attraversare dalla storia narrata, dal calore di ogni protagonista, dal dolore e dalla tenerezza che scorgerai tra le pagine.

I personaggi che crea l’autrice sono come noi, fatti di un’umanità imperfetta, di sbavature, di inciampi, di timidezze e opportunismi… Ecco perché ci assomigliano!

Marisa: la madre spezzata nell’anima

Marisa è il cuore spezzato del romanzo. Impossibile non empatizzare con il suo dolore, non sentire profondamente la sua angoscia, il suo voler quasi smettere di esistere.

 È una madre che ha perso sua figlia in modo atroce, e con lei, il senso del tempo, del futuro, di sé stessa, della vita. Ma ciò che la rende così intensa, vera, resiliente non è solo il dolore: è la fatica di non soccombere, quel suo aggrapparsi disperatamente alla vita grazie all’amore di chi la circonda.

Marisa è quella donna che continua a cucinare, a rimettere a posto, a fare finta di vivere.

Continua ad esistere con il cuore avvolto nell’ombra della morte, è un’esistenza che danza al ritmo del respiro spezzato… È la solitudine opprimente nella folla, l’invisibilità del lutto. È dura, aspra, eppure le sue crepe sono le nostre. In lei si legge l’impossibilità di perdonarsi anche quando non si ha colpa. Se solo potesse tornare indietro…

Miriam: la ragazza che vive in silenzio con una montagna nel cuore.

Miriam è il silenzio fatto carne, lascia il fantasma dell’apparenza danzare al posto suo. Non parla, dice sempre che va tutto bene, ma tutto in lei urla: la vergogna, il trauma, la colpa mal riposta, l’abbandono, la disperazione silente che la priva del sonno, dell’appetito, della voglia di stare al mondo. È sopravvissuta a qualcosa che ha lasciato cicatrici più profonde dell’evento stesso.

È uno squarcio nel petto che cammina ma che rischia di sprofondare, passo dopo passo. Eppure, con Corallina, qualcosa lentamente si muove.

Il dolore di Miriam non ha voce, ma la divora lentamente. E il romanzo non cerca di farla parlare: le permette di essere. Di abitare il silenzio senza forzarla. Il crollo dell’impalcatura che si è costruita senza che nessuno se ne accorgesse si mescolerà alla sua voglia di gridare l’atroce ingiustizia subita.

Stelvio: l’uomo che non sa amare, che sa restare in silenzio.

Stelvio è il marito di Marisa, il padre di Elisabetta, ma è anche l’uomo che non riesce ad affrontare il lutto. Si rifugia nel lavoro, nei silenzi duri, nella fuga, in quegli innocenti bicchieri di vino che si concede la sera. Il suo dolore è cieco, e a volte feroce. In lui si sente la paura di crollare, ma non smette di stare accanto alla moglie, anche quando sembra più un’ombra che una donna in carne ed ossa.

È uno di quegli uomini che non hanno mai imparato a piangere.

Leo: la gentilezza che nella sua semplicità… salva!

Leo è un personaggio che entra in punta di piedi, sembra quasi che “capiti per caso” come spesso succede alle persone che non ti aspetti di incontrare, ma lascia un’impronta forte. È uno di quelli strani, come la vita quando ci si mette a farti lo sgambetto. Un ragazzo che spaccia per cercare di sopravvivere oltre al semplice lavoro della domenica, con un passato irrisolto e problematico, ma con un’umanità che sorprende. È lui che, forse più di tutti, intuisce cosa ci sia dentro Miriam.

Con lui si accende una luce. Il suo coraggio sorprende e commuove.

Con Leo il romanzo dice che si può rinascere. Che anche chi ha sbagliato può amare come tutti. Che a volte il passato non si cancella, ma può convivere con la possibilità di ricominciare.

Corallina: la luce silenziosa, la stella più brillante che esista!

Quanto ho amato Corallina, è una ventata di dolcezza e umanità, una rosa che sboccia…

Un cuore immenso, un’anima come poche!

Corallina, lo dico a gran voce, è la meraviglia silenziosa di questo libro, non potrai non amarla. Non fa proclami, non pretende, non giudica. È la donna che cura senza chiedere nulla, che sta nel dolore degli altri come un nido accogliente. Lei conosce il dolore, lo sente nella sua carne, percepisce il grido di Miriam.

È lei che, senza dire troppo, permette a Miriam di respirare. Di rimettere insieme i pezzi, poco alla volta. Corallina è immensa!

Corallina è la maternità che non ha bisogno di sangue. È la tenerezza pratica, quella che si offre nel quotidiano, nei gesti minuti. È una donna che ha imparato a restare.

È una donna profonda, che ascolta i silenzi, che ben conosce il dolore.

Anche quello silenzioso e devastante di Miriam.

Corallina è la madre, la sorella e l’amica che tutti vorremmo, è un’anima con uno sguardo che scava nell’animo in silenzio.

Volutamente questa volta non vi racconto la trama.

Voglio lasciare spazio al contorno, agli elementi essenziali perché possa leggere senza che te lo abbia raccontato…

Chissà se anche tu percepirai le mie stesse emozioni!

I temi che attraversano questo romanzo sono tanti: il dolore, la violenza di genere, il lutto, la perdita sotto vari punti di vista, la colpa, la cura, la possibilità di restare umani, la resilienza, l’ascolto che va oltre le parole.

1. Il dolore che cambia radicalmente l’esistenza

Il dolore, in questo romanzo, non è un evento: è un paesaggio. Non si consuma in una scena sola — diventa una nuova geografia dell’esistenza, che cambia la luce delle stanze, il modo in cui si mangia, si dorme, si parla, si tace. Anche il respiro cambia.

E il senso della vita rischia di svanire dal vuoto.

Il lutto qui non è spettacolare: è concreto, quotidiano, corrosivo. È la voce rotta di una madre che continua a lavare i piatti. È il silenzio di una ragazza che non riesce nemmeno più a credere di meritare di respirare.

2. La colpa (e l’ingiustizia del dolore)

Una delle domande più laceranti che il romanzo ci pone è: chi ha colpa davvero? E poi: serve trovarla, se il dolore ormai è accaduto?

Miriam si sente colpevole. Marisa ha bisogno di dare colpa a qualcuno. Stelvio non vuole vedere. Leo cerca di riparare. Ma la verità è che il dolore non distribuisce le colpe in modo giusto. A volte colpisce chi non se lo merita. E questa è una ferita dentro la ferita.

Il romanzo non ci offre una risposta, ma ci dice che a volte l’unica cosa da fare è restare accanto alla colpa, al dolore, al vuoto e imparare a conviverci.

3. La cura silenziosa

Un altro tema centrale è la cura. Ma non quella dei gesti eclatanti. Qui la cura è mettere un asciugamano pulito sul termosifone, ricordarsi cosa piace mangiare a qualcuno, non fare domande inutili. La cura è fatta di gesti o di silenzi estremamente delicati e rispettosi, mai invadenti, mai curiosi, che mai costringono gli altri a chiudersi a riccio, a difendersi. Come faceva Corallina…

È un amore che non chiede spiegazioni. Che non cerca di “aggiustare”. Che ha la pazienza di chi sa che il tempo della guarigione non può essere imposto. È questo che rende Corallina (e anche Leo, a suo modo) così importanti: sanno amare senza possedere. Loro sanno esserci a modo loro ma con genuinità, senza imporre la loro presenza.

4. Il silenzio come linguaggio

Il silenzio non è solo una condizione di Miriam: è un linguaggio segreto che attraversa tutto il romanzo.

C’è un silenzio che pesa — quello del non detto, del trauma. Ma anche un silenzio che protegge, che cura.

C’è quello del dolore che spezza le parole ancora prima che nascano e che fa pesare anche un solo respiro… e c’è il silenzio di chi ti custodisce con amore.

Roberta Recchia ha saputo scrivere il silenzio: e non è cosa da poco. Perché ci ricorda che a volte, nel dolore, le parole sono troppo strette. E che restare accanto, in silenzio, è già un atto d’amore.

Questo libro è un esordio straordinario.

Un pugno nello stomaco.

Un romanzo destinato ad accompagnare i tuoi giorni.

Un mare di lacrime.

Indimenticabile, forte, intenso, commovente.

Tra i romanzi più significativi letti negli ultimi anni, straordinariamente vicino alla realtà.

Meraviglioso, te lo consiglio con tutto il cuore!

Roberta Salis

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