
Autore: Charles Juliet
Traduttore: Federico Mazzocchi
Edito da Mauro Pagliai Editore
Pag. 116
DESCRIZIONE DEL LIBRO
Brandelli è la storia di una nascita, la nascita di un uomo a se stesso attraverso il dolore e la perdita. È la celebrazione e assieme il compianto per le due madri dell’autore: la prima, che lo ha partorito ma è stata subito separata dal figlio per essere ricoverata in un ospedale psichiatrico, dove è morta in condizioni atroci otto anni dopo; la seconda, che lo ha accolto nella sua famiglia crescendolo con amore e dedizione. A queste due madri – la derelitta e la coraggiosa, la soffocata e la valorosa, Charles Juliet restituisce quella parola che non hanno mai avuto, e attraverso di loro ritorna alle origini del suo viaggio, dall’infanzia contadina alla scuola militare, sino alla scoperta sconvolgente della scrittura. Una storia dove non esiste confine tra autobiografia e romanzo, perché scrivere è il bisogno imperioso di conoscere se stessi. “Un libro di speranza”, come è stato definito, un grandissimo successo editoriale considerato ormai un classico in Francia.
RECENSIONE
“La paura. La paura ha devastato la tua infanzia.
Paura dell’oscurità. Paura degli adulti.
Paura di essere rapito. Paura di scomparire”.
Carissimi Amanti dei libri,
oggi desidero presentarvi un romanzo breve ma intenso, una scoperta letteraria che mi ha regalato sentimenti di tenerezza, commozione ed un forte senso di empatia. “Brandelli” di Charles Juliet è profondamente autobiografico. Un libro conosciuto da pochi in Italia ma che in Francia è uno dei libri più venduti negli ultimi vent’anni.
Sono felice di farvi conoscere questo romanzo per la delicatezza con cui è scritto e per le emozioni che regala: una storia di nascita, scoperta del sé e di rinascita che sono certa farà vibrare le corde dell’anima…
Charles Juliet si mette a nudo, ci aiuta a rivivere la vita delle sue due madri, quella biologica e quella che lo ha adottato quando aveva appena tre mesi.
Solo all’età di sette anni scopre di avere anche “un’altra madre”, quella che è appena deceduta. In occasione del funerale conosce anche suo padre, sua sorella e i suoi due fratelli.
La madre biologica non poté crescerlo come fece con gli altri figli. La depressione le rubò la vita e lui fu dato in adozione ad una famiglia che non gli fece mancare nulla, che lo amò incondizionatamente, che lo crebbe al meglio, a cui deve tutto…
Inutile dire che senza togliere nulla alla madre adottiva che mai smetterà di amare, in lui sente la frammentazione, la rottura, la ferita nella carne di quell’allontanamento dal seno della madre biologica che a malincuore non poté allevarlo.
Le gravidanze ravvicinate, la solitudine, lo sfinimento fisico e quell’emorragia furono per lei quasi letali. Solo la sollecitudine di una vicina la salvò da morte certa ma il suo destino le riservò qualcosa di ben peggiore…
“Il giorno dopo la festa di Ognissanti, entri all’ospedale di B. Quello che accoglie i depressi e i malati mentali della provincia.
Prima di farti incontrare un medico ti tolgono la fede e i vestiti, ti rasano, ti mettono gli zoccoli e un abito informe di panno marrone, sul retro del quale sono impresse con inchiostro nero le due grandi lettere H e P.
Ti spingono in una sala tetra e nauseante, dove vanno e vengono una ventina di malati. Ti volti per fuggire, ma la porta sbatte e si richiude. L’orrore. Come gettata in fondo ad una fossa. Una fossa in cui marciscono i demoliti, gli sprofondati, i crocifissi da un’interminabile sofferenza”.
La vita della madre biologica nell’ospedale psichiatrico è tutt’altro che salutare.
È claustrofobia pura.
I malati vivono come prigionieri e in quel periodo non ci sono medicinali per curare la depressione o le altre malattie mentali.
C’è anche chi non ha un letto per dormire. La paglia diventa il giaciglio di tanti.
Il cibo è infetto. Immangiabile.
Il personale che si occupa dei malati non ha un briciolo di umanità.
Porte e finestre chiuse. Urla. Gemiti. L’unica certezza è che nessuno ne uscirà vivo.
Lei pensa ai suoi bambini per farsi forza.
Sa che sono stati affidati temporaneamente ad alcune famiglie del villaggio.
Ha bisogno che Antoine, il marito, la tiri fuori da quell’inferno perché lei necessita solo di riposo fisico e poi sarà in grado di occuparsi di lui e dei bambini… restare tra quelle gelide mura significa sprofondare giorno dopo giorno.
La gente ha paura delle malattie mentali, si crede siano contagiose… e pochi hanno il coraggio di varcare quelle mura, di entrare in contatto con i matti.
Sono soli.
E chi non è mentalmente malato stando lì dentro lo diventa, non c’è dubbio.
Arriva la guerra.
E arriva la sua fine. Quella che veniva inflitta alle persone depresse.
A 38 anni la madre biologica muore.
La famiglia che incondizionatamente lo accolse in casa da neonato gli salvò la vita.
Eppure lui cresce con il terrore che lo possano abbandonare.
Il suo animo è diviso tra brandelli di dolore e brandelli di fiducia.
La scuola resta un miraggio in una famiglia povera, bisogna lavorare per sfamare tante persone in famiglia e soprattutto i bimbi piccoli.
Il suo lavoro è quello di dar da mangiare agli animali.
Ama i suoi genitori. Ama i suoi fratelli.
Crescendo viene ammesso alla scuola militare e inizia una nuova vita lontana dal villaggio. Una vita di scoperte inimmaginabili.
Riesce a distinguersi.
Scopre l’amore in un modo inconfessabile. Inaspettato.
Ha due vite ma i sentimenti contrastanti non lo abbandonano.
In lui tutto si mescola nel bene e nel male.
La sua storia non è come quella di un ragazzo normale. Forse nemmeno lui riesce a capirla fino in fondo…
Solo la scrittura placherà quella sete che gli contorce l’anima.
Da lì inizierà il suo viaggio alla scoperta di sé stesso e nell’eterna gratitudine per quelle donne che lo hanno amato che lo hanno aiutato a comprendere i brandelli in cui è diviso il suo essere. La scrittura lo aiuterà a rinascere dai sensi di colpa, dal dolore, dalle mille domande che resteranno senza risposta.
La scrittura di Charles Juliet è un sussurro, non urla, ma incide. Apre il suo cuore al mondo, lo mette a nudo con mani tremanti e lo offre a chi legge con delicatezza: tra le sue parole c’è un’anima che tenta di raccogliere i pezzi.
Ci consegna parole colme di dolore, memoria, grazia. Il suo è un modo di narrare intimo, c’è tanta fragilità e tanta potenza: come un l’urlo silenzioso di una preghiera.
Questo è un libro da leggere con calma e rispetto, è essenziale ma allo stesso tempo intenso, pulsante di vita, di passione, della speranza di chi sa ancora amare.
Non posso che consigliarvelo per la bellezza in cui l’autore racconta e rinasce attraverso le parole.
Io lo rileggerò volentieri.
Roberta Salis
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