Le impazienti

Autrice: Djaïli Amadou Amal

Traduttore: Giovanni Zucca

Edito da Solferino

Pubblicato nel luglio del 2021

Pag. 221

Genere: Letteratura africana

DESCRIZIONE DEL LIBRO

Camerun, Regione del Nord: tre donne, tre matrimoni, un unico destino. Ramla ha diciassette anni ed è costretta dal padre a lasciare gli studi e a sposare un uomo di cinquanta. Crede che sua cugina Hindou sia più fortunata di lei, perché il suo promesso sposo Moubarak di anni ne ha solo ventidue, e non è brutto, tutt’altro. Ma sbaglia, perché Hindou sa bene di che pasta è fatto suo cugino e qualsiasi sorte sarebbe per lei meglio che essere data in sposa a lui. Safira, trentacinque anni, per ventidue è stata la prima e unica moglie di Alhadji Issa, l’uomo più importante della città. Fino al giorno in cui Ramla non entra in casa sua come «co-sposa», e i suoi occhi cominciano a consumarsi dalla gelosia. Per nessuna di loro c’è una via di fuga, una strada diversa che non le consegni all’istante alla riprovazione sociale, alla gogna pubblica. L’unico antidoto alla sofferenza, alla violazione, l’unica soluzione che viene loro additata, il basso continuo delle loro esistenze interrotte, è la pazienza, nel nome di Allah. La capacità senza limiti di sottomettersi, nascondere, accettare di buon grado, senza un pianto, un lamento, un grido. In questa prova sta il valore di una donna, su questa scala si misura la sua virtù. Grazie alla pazienza si può sopravvivere. Grazie alla pazienza di tante come loro, tutto un sistema sociale può sopravvivere. Con questo romanzo polifonico Djaïli Amadou Amal ci riporta a un universo sommerso, tribale, in cui la femminilità non ha diritti e il rapporto fra i sessi è fondato sulla prepotenza. Scortica, disseziona, riduce all’osso i meccanismi di una cultura patriarcale progettata per schiacciare le donne, mostrandoci i danni irreparabili che produce, la sua intrinseca violenza. Una violenza cui le donne stesse si condannano, nel momento in cui rinunciano ai sogni per abbracciare i doveri, insegnando alle proprie figlie a fare lo stesso. Così Amal ci insegna a guardare con sospetto, sempre e ovunque, chi ci chiede di «pazientare» a ogni costo, mettendoci in guardia contro la subdola minaccia che in questo invito si annida.

RECENSIONE

“Salvatemi, vi supplico, mi stanno rubando la felicità e la giovinezza. Mi separano per sempre dall’uomo che amo, imponendomi una vita che non voglio. Salvatemi, vi supplico, non sono felice come pensate. Salvatemi, prima che io diventi per sempre una di quelle ombre che vivono nascoste dentro le concessioni. Salvatemi, prima che io avvizzisca tra quattro mura, prigioniera. Salvatemi, vi supplico, mi stanno strappando ai miei sogni, alle mie speranze. Mi stanno rubando la vita”.

(Pag. 71)

Carissime Anime Amanti dei libri,

oggi voglio fare con voi un viaggio in Africa, in Camerun, con un romanzo che segna profondamente la vita di chi lo legge, perché ci sono narrazioni che non lasciano indifferenti: fanno piangere, arrabbiare, gridare alla ricerca di giustizia. Narrazioni di una realtà da noi lontana, ma che morde la carne. In fondo, quando un essere umano soffre, nel profondo dell’anima soffriamo anche noi… questo vale per chi tiene accesa la propria umanità, ovviamente.

Sappiamo che c’è anche chi riesce a vivere indifferente a tutto e a tutti. Basta guardare la società di questi ultimi tempi ed è palese che l’indifferenza regni.

Ma qui si parla a cuori senzienti, empatici, umani, di carne: i nostri!

Non ci si può voltare dall’altra parte quando si conoscono certe ingiustizie. Ignorare significa essere complici, credere che sia giusto che le cose continuino a restare invariate, aumentare la catena di dolore.

Nel suo romanzo “Le impazienti” la scrittrice Djaïli Amadou Amal descrive e denuncia la condizione delle donne, delle ragazze, delle bambine… che non hanno diritto di parola, che subiscono le scelte degli uomini, che per quanto sognino un futuro che le sottragga dalla condizione di schiavitù sanno bene che resteranno sempre e solo donne che dovranno tacere, pazientare, obbedire.

Il loro destino è quello di essere spose o co-spose.

Il loro destino è quello di essere madri e di pensare alla casa e ai figli.

Non c’è altra strada possibile per una donna per essere fedele e rispettabile.

Il loro destino è quello di obbedire e pazientare qualunque cosa succeda.

E una cosa è certa, la loro voce, il loro desideri non contano.

Piangere, supplicare, inginocchiarsi non serve a nulla.

Conta solo far felice il marito. Obbedire ai padri e accettare i matrimoni combinati.

In silenzio.

Innamorarsi non è un’opzione possibile.

Ogni matrimonio è fondato sugli intrecci familiari che si creano e che hanno implicazioni economiche e sociali da cui non si scappa.

Per la donna che si oppone l’unico esito possibile è l’essere ripudiata dal marito e rinnegata dalla famiglia. Non c’è scampo.

Questo è ciò che accade in Camerun alle donne fulani, di madre in figlia dove la parola d’ordine è continuamente: “munyal”, ovvero, “pazienza”! Per loro non esiste la parola libertà o felicità o realizzazione personale, tutto è vissuto in funzione del marito e dei figli.

“Pazienza, figlie mie, munyal! Fate che sia parte della vostra vita futura. Inscrivetelo nel cuore, ripetetevelo nella mente: munyal! Questo è l’unico valore del matrimonio e della vita. Questo è l’autentico valore della nostra religione, delle nostre tradizioni, del nostro puulaku. Munyal! Non dimenticatelo mai. Munyal, figlie mie! Perché la pazienza è una virtù”.

(Pag. 75)

L’autrice racconta la storia di tre donne fulani che vivono ciò che lei stessa ha vissuto e a cui è riuscita a sfuggire e che oggi racconta al mondo perché le cose cambino. Si fa voce di tutte le donne camerunensi che non hanno voce. Ci racconta la storia di Ramla, di Hindou e di Safira, donne diverse ma accomunate dallo stesso destino di sopraffazione, violenza e muto dolore.

Ramla ha diciassette anni ed è innamorata dello studio e di Aminou, un ragazzo che come lei desidera continuare gli studi per aiutare la propria gente. Il padre però decide che dovrà sposare un uomo facoltoso di cinquant’anni che l’ha notata e che la vuole come seconda sposa.

Hindou, la sorella di Ramla, invece, dovrà sposare un giovane cugino. Che fortuna, vero? Peccato che questo giovane uomo sia schiavo del bere e che diventi molto violento quando è ubriaco. Bello e giovane sì, ma anche crudele e senza cuore.

E poi c’è Safira… la prima moglie del marito di Ramla. Una donna che si infiamma di gelosia e cattiveria quando viene a sapere che il rapporto con il marito verrà condiviso con un’altra donna. Inutile dire che tra le due mogli si scatenerà una guerra. Una guerra che sfiorerà la tragedia.

Per le donne fulani il matrimonio è garanzia per la vita. Infatti le sottrae da un destino di indigenza economica, ma allo stesso tempo le immette in un circolo vizioso dove è l’uomo a dare gli ordini, a controllare la sua vita, a decidere della propria vita, spesso, in un clima di violenza che nessuna può denunciare. Tutte e donne sanno che devono vivere il munyal, la pazienza. Sempre e in qualunque situazione. Il matrimonio è sacro secondo la religione e l’obbedienza cieca ai comandi del marito è sancita dal Corano, inoltre è l’unico modo perché le donne camminino sulla retta via e non commettano peccati.

Sottomesse al marito e senza voce, senza cultura, senza diritti… chi non vuole piegarsi ai dettami del patriarcato non può far altro che fuggire. Fuggire è l’unico modo per ritrovare la propria indipendenza, per provare a esistere libere dalla poligamia, dalla violenza, dalle leggi di una società convinta che sia giusto addomesticare le donne come se fossero cagnolini. Ovviamente, per chi fugge il rischio sarà quello di non avere più nessuna protezione dai familiari e nessun aiuto economico; sì, il rischio più grande è il poter cadere in povertà a causa dell’emarginazione e del ripudio di tutti.

Quanto mi ha schiacciato l’anima questo libro.

Ho pianto di rabbia. Ho pianto di dolore. Ho pianto perché una realtà del genere non può esistere ancora oggi… e soprattutto non si può accettare che esistano donne che non possono respirare senza il consenso dell’uomo. A me il solo pensiero fa soffocare.

Romanzo bello e commovente. Necessario.

Conoscere è importante.

E far conoscere questo libro sarà il mio modo di dare voce alle donne che non hanno voce.

Roberta Salis

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