Autrice: Susanna Kaysen
Edito da TEA
Pubblicato nel maggio del 2017
Tradotto da allievi vari appartenenti al corso di inglese della Scuola Europea di Traduzione Letteraria (SETL) coordinato da Ottavio Fatica.
Pag. 166
DESCRIZIONE DEL LIBRO
«La gente ti chiede: come ci sei finita? In realtà, quello che vogliono sapere è se c’è qualche probabilità che capiti anche a loro. Non posso rispondere alla domanda sottintesa. Posso solo dire che è facile.» A diciotto anni, Susanna Kaysen, dopo una sommaria visita di un medico che non aveva mai visto prima, viene spedita in una clinica psichiatrica. Passerà i due anni successivi nel reparto adolescenti del McLean Hospital, noto per i suoi pazienti famosi (Sylvia Plath, James Taylor e Ray Charles, tra gli altri) e per i metodi all’avanguardia. La sua storia, raccontata con tono distaccato, a volte comicamente beffardo e sempre autoironico, riesce nell’impresa di trasmetterci il senso di un’esperienza che in genere può essere compresa soltanto da chi l’ha vissuta per davvero.
RECENSIONE
Carissimǝ Amanti dei libri,
il libro che vi consiglio oggi è una storia vera, la storia di Susan Kaysen autrice di “La ragazza interrotta”. Infatti, verso la fine degli anni sessanta quando aveva solo 18 anni venne rinchiusa in una clinica psichiatrica statunitense.
Tutte quelle aspirine che ingerì le costarono caro anche se, se ne pentì quasi subito.
Di certo mai avrebbe pensato che in seguito a questo “incidente” la sua vita sarebbe cambiata per sempre. La sua divenne una vita di quelle che molti guardano e poi puntano il dito o che guardano con il timore che possa accadere anche a loro.
Il racconto autobiografico della Kaysen è una sorta di diario, dove annota le sue giornate nella clinica insieme alle sue compagne di avventura o di sventura, dipende da come si vuole osservare la narrazione.
Quella di Susanna Kaysen è una narrazione che mostra frammenti di quell’esperienza che l’ha segnata profondamente, a volte è un racconto spensierato volto a evidenziare come il tempo dentro quelle mura non passasse più, altre volte lascia spazio alla riflessione.
Quel luogo così freddo e senza mai un abbraccio, il rapporto con lo psichiatra e con le ragazze che si alternano all’interno della struttura è intervallato dalle cartelle cliniche che si trovano tra le pagine del libro come documento o forse come ricordo di ciò che ha vissuto. Fa un certo effetto leggere quelle diagnosi… ma fanno parte di un percorso che si è sempre mostrato aperto alla guarigione.
Certamente fa riflettere il fatto che lei non si sia opposta all’internamento, solo che i tempi si sono dilatati e spesso per noncuranza da parte di chi la curava… in fondo, in pochi minuti, come si può fare delle diagnosi precise? Eppure quei documenti restano.
Sono tanti i dubbi che l’autrice si pone perché il confine tra “normalità” e pazzia è così sottile da non comprendere mai dove finisce l’una e inizia l’altra… una cosa è certa, nel suo percorso conoscerà delle ragazze a cui la malattia non lascerà scampo. No, non si può dimenticare.
In fondo quei due anni le hanno rivelato come la mente umana possa essere fragile, manipolabile, incapace di ritrovare la luce quando precipita nell’abisso!
Una cosa è certa, negli anni ’60 anche la malattia fu contagiata dal sessismo e dal maschilismo e ovviamente la maggior parte dei disturbi psichici era delle donne… secondo i medici del tempo. Questo ci fa riflettere da dove vengano i pregiudizi tuttora esistenti sulle donne: noi che siamo sempre troppo emotive, nervose, in preda a sentimenti esagerati. Cambierà mai questa narrazione delle donne?
Fa riflettere anche il fatto che si finisse in istituti psichiatrici per fatti che oggi non verrebbero considerati così gravi… e basterebbe un professionista capace di ascoltare e di aiutare con una terapia senza farmaci perché a volte il malessere che si prova è semplicemente dato dai dubbi della crescita e dagli interrogativi che con essa sorgono.
Che dire del libro? Per me non è un capolavoro ma l’ho letto volentieri, mi è piaciuto e lo consiglio.
Lo consiglio perché non mancano gli spunti di riflessione e perché credo che non sia difficile ritrovarsi nelle parole e nell’esperienza dell’autrice. Lo consiglio a chi ama le storie di rinascita, le storie in cui si ha la forza di tornare a vivere e sperare non dimenticando il passato e il maestro che sa essere nell’esistenza umana.
Ho pensato che, ci vuole molto coraggio per raccontare un’esperienza come quella di Susanne Kaysen… credo che sappia bene che ci sarà chi capirà e chi non vorrà capire.
Ci vuole coraggio anche per guardarsi dentro e credo che questo libro possa aiutare tante persone a non avere paura di se stesse perché la fragilità non si combatte ma occorre prendersene cura con delicatezza.
Da parte mia, grande stima per come ha saputo far fronte a due anni difficili che avrebbero potuto farla impazzire davvero, invece, la sua forza è stata quella di continuare ad essere fuori dagli schemi… e di sfruttare questa flessibilità per andare oltre quelle mura, oltre quei giudizi sterili, oltre i pregiudizi che la sua esperienza comporta. Non è facile parlare di disagio psichico ma qui c’è tanto rispetto e delicatezza nel farlo!
Roberta Salis
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