Lettera alla madre

Autrice: Edith Bruck

Edito da La nave di Teseo

Pubblicato nel gennaio 2022

Pag. 128

 

 

DESCRIZIONE DEL LIBRO

Scritto all’indomani della morte di Primo Levi, Lettera alla madre è un “dialogo in forma di soliloquio” in cui, accanto a temi cruciali per l’opera di Edith Bruck, quali il racconto del trauma vissuto in prima persona nei campi di concentramento dell’Europa Centrale, la propria diaspora famigliare e il dramma storico della Shoah, l’autrice affronta, attraverso una prospettiva intima, la contrapposizione tra fede religiosa e laicità e propone una profonda riflessione su cosa significhi per un superstite dell’Olocausto avere la responsabilità di esserne testimone. Il confronto serrato e a tratti impietoso con la figura della madre, ebrea ungherese saldamente ancorata alle tradizioni, diventa il luogo per la rievocazione di un’infanzia sospesa tra ricordi e fantasmi, per un’analisi delle proprie scelte e per una interrogazione di sé e del proprio valore testimoniale.

 

RECENSIONE

Carissimi Amanti dei libri,

quest’anno per la Giornata della Memoria non vi ho proposto nessun testo, ma mi ripropongo di regalarvene spesso durante il mio passeggiare tra i libri con voi…

Questo è il 1° libro della challenge da me ideata #leviamolapolveredailibri

Oggi vi parlo di “Lettera alla madre” di Edith Bruck, una scrittrice ungherese nata in una famiglia ebrea che ha vissuto l’inferno di Auschwitz ed in cui ha perso sua madre. Il libro è una lunga lettera che da figlia scrive alla madre, si ha la sensazione di una scrittura di getto e che non voglia perdere nemmeno una parola, quasi come se ciò che ha da dirle rischiasse di essere inghiottito dal tempo prima ancora che possa essere espresso…

Sono pagine intime in cui l’autrice scava dentro di sé e rivolgendosi a sua madre, che perse nel 1944 ad Auschwitz durante una delle assurde ‘selezioni’, prova a dirle tante cose che non le ha mai detto, non c’è stato il tempo, il loro rapporto è rimasto in sospeso, irrisolto, fatto di sentimenti contrastanti, di quell’amore e odio solo a parole perché in fondo sarebbe bello se si potesse tornare indietro…

Quello strappo ad Auschwitz che ha comportato la morte della madre nelle camere a gas è una ferita e un ricordo indelebile con cui fa a pugni, Edith Bruck rivive quel momento di separazione definitiva come se volesse fermare l’attimo e fare la stessa fine della madre, in fondo è solo grazie a lei che oggi è qui a raccontare.

Quel grido lacerante della madre che le imponeva di obbedire l’ha salvata. Ma ad Auschwitz non c’è stato nemmeno il tempo di rendersi conto di tale gesto… la fame attanagliava i sensi, l’intelletto, ma la carne e lo spirito vivranno eternamente quel lutto ingiusto e fatalmente irreversibile.

Il tempo per piangere non c’era nei campi di sterminio e non si avevano più lacrime negli occhi… occorreva pensare a se stessi, a sopravvivere, a cercare di fare il possibile per andare avanti, non c’era altro pensiero. Solo alla fine di quell’incubo il dolore divampa come un incendio nell’anima e ci si rende conto di cosa è successo e di quanto dolore ci sia nella perdita della madre.

La scrittrice parla con la madre sottolineando la loro diversità, il loro rapporto conflittuale… proprio quando per l’Europa arriva il momento più delicato, il momento in cui bruciava e la madre credeva nel miracolo, si illudeva che le cose potessero cambiare e diceva “Un miracolo dovrà succedere”… ma non avvenne e la scrittrice continua a chiedersi ogni giorno come potesse vivere sperando in un miracolo…

Nessun miracolo l’ha salvata dal gas…

Strazianti sono le parole che Edith Bruck rivolge a sua madre: “Se tu fossi sopravvissuta, io ti avrei risarcito per davvero. Per te avrei fatto di tutto, anche la ladra e la puttana di nascosto, per non vederti soffrire per la mancanza di qualcosa”.

La scrittura diventa l’unico modo per non dimenticare, dimenticare la madre è un po’ come perdere se stessa… è un modo per dire che nel suo animo resta ancora il bisogno dell’amore della madre, resta la ferita di chi non ne ha ricevuto abbastanza, resta quell’oscurità che ha diviso per sempre le loro esistenze e che ha impedito loro di superare i contrasti che hanno vissuto nella loro reciproca compagnia come madre e figlia… Qui si cerca di tendere una mano per trovare quell’armonia che si sperimenta nei rapporti in cui si vive di incontri…

Una lettera viscerale che attraversa la zona più buia della storia dell’umanità, che mette in luce le credenze del periodo legate alla religione, che sottolinea il terrore vissuto nei campi di concentramento, che si preoccupa dell’importanza della testimonianza… e lo fa senza fronzoli, narrando la verità senza mezze parole.

Un testo che scuote l’anima, le sensazioni rimangono impresse anche dopo la lettura, quel senso di rapporto rimasto in sospeso si avvinghia in chi legge e se ne percepisce il peso e la mancanza di calore, il bisogno di non perdere le proprie radici…

Intimo, straziante, ma necessario.

Roberta Salis

 

 

 

 

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