Autrice: Edith Bruck
Edito da Marsilio
Collana: Tascabili Maxi
Pubblicato nel novembre 2014
Pag. 95
DESCRIZIONE DEL LIBRO
“Un’impacciata studentessa rivolgendomi una domanda mi chiamò “Signora Auschwitz”. Luogo che abitava il mio corpo e che mi sentivo anche addosso, come una camicia di forza sempre più stretta, che negli ultimi due anni mi stava letteralmente soffocando, senza che fossi capace di liberarmene.” Ha inizio così il viaggio negli oscuri tormenti dell’anima di una “sopravvissuta”, destinata a dibattersi tra i lacci di una memoria cui non si scappa e il desiderio di liberarsi del peso insopportabile di un passato che la inchioda nel ruolo di “testimone”. Obbligata a rendere conto di un orrore che non si lascia raccontare e rinnova il sentimento di una perdita irreparabile, la “sopravvissuta” non può andare “oltre” e ritrovare una serena normalità, è costretta ogni volta a ricominciare da capo. Eppure al destino non si sfugge e “il dono della parola” è anche il suo eterno tormento; il dovere di non dimenticare si capovolge nella condanna a ricordare e soffrire e il desiderio di fuga riaccende un insopprimibile senso di colpa, come se il silenzio sottintendesse un vergognoso tradimento. Un racconto sul dolore della memoria, la distanza che allontana dall’indifferenza degli altri, la disperazione di fronte all’incredulità, l’eroismo necessario per raccontare l’orrore che si è vissuto. “Chi ha Auschwitz come coinquilino devastatore dentro di sé, scrivendone e parlandone non lo partorirà mai.”
RECENSIONE
Carissimi Amanti dei libri,
oggi non voglio usare troppe parole mie, vi lascio quelle di Edith Bruck, tratte dal libro “Signora Auschwitz. Il dono della parola” che vi invito a leggere per conoscere un altro tassello della sua storia di testimone della Shoah!
“Forse definirsi possono solo coloro che hanno i propri vivi e i propri morti sullo stesso luogo. Io su quale tomba e dove avrei dovuto pregare o portare i fiori? Sulla bocca del crematorio che aveva inghiottito mia madre e mio fratello? O in qualche campo coltivato e concimato con ciò che era rimasto di mio padre? Chi aveva perso anche la traccia dei propri morti era privato anche della terra che potesse dire sua”.
Parole che lasciano spazio solo al silenzio.
Parole che fanno male.
Parole che parlano del dolore, del vuoto e dell’assenza.
Parole che non trovano conforto.
In questo libro, Edith Bruck, scava ancora una volta nel suo dolore e ce lo porge con delicatezza e grande umanità. Raccontare ciò che ha vissuto non è facile, non lo è stato mai, anche il suo corpo si ribella quando deve testimoniare e lo fa con crampi, sudore, ansia…
Auschwitz è come un mostro che non si lascia mai partorire del tutto, anzi è un essere che si alimenta dei racconti di chi lo riporta alla luce!
Testimoniare non è facile, il suo dolore è forte, palpabile, è un continuo cercare di riaprire le sue cicatrici… soprattutto quando si tratta di risponde alle 4 domande più frequenti:
Se aveva perdonato ciò che aveva visto e sperimentato…
se era credente…
se si sentiva italiana
se aveva nostalgia del suo paese di origine
Nelle parole della scrittrice, si percepisce la difficoltà nel rispondere a queste domande.
Lascio che scopriate la risposta nel libro.
Lascio che entriate come ho fatto io, in punta di piedi, tra le parole di Edith Bruck, lascio che ascoltiate con profondità ciò che racconta e che… no, non so raccontare!
Questo è il secondo libro che leggo della Bruck, ha uno straordinario modo di comunicare, le sue parole arrivano al cuore suscitando in chi legge l’empatia e il silenzio, come se la si ascoltasse parlare dal vivo.
Questo libro è un pugno nello stomaco, si riesce a sentire ciò che l’autrice sperimenta nel proprio corpo. Il dono della parola è anche questo… ma non solo!
Roberta Salis
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