Autrice: Anny Romand
Traduttore: Daniele Petruccioli
Edito da La Lepre Edizioni
Pubblicato nell’ottobre del 2020
Pag. 127
DESCRIZIONE DEL LIBRO
Nel 2014, riordinando le cose di famiglia, Anny Romand scopre un quaderno di settanta pagine di cui non sapeva nulla. Scritto da sua nonna nel 1915 in armeno, francese e greco, racconta il viaggio di un gruppo di donne e bambini armeni sulle strade dell’Anatolia, verso il deserto e la morte. Nel libro vengono pubblicati alcuni estratti di quel quaderno, in parallelo con le conversazioni che l’autrice aveva con la nonna che l’ha cresciuta. Confrontando il ricordo di quelle conversazioni con le terribili descrizioni del quaderno, Anny Romand rivive l’infinito dolore degli Armeni, filtrato attraverso gli occhi di una bambina. L’innocenza di fronte all’orrore. «Quando avevo 8 anni mia nonna mi raccontava la sua storia, la storia tragica del massacro degli armeni, avvenuto cinquant’anni prima. Ero la sola ad ascoltarla, affascinata e sconvolta. Mia madre era molto contrariata quando ci trovava in lacrime, una nelle braccia dell’altra: la farai impazzire, questa bambina! …Ma dal racconto di mia nonna emergeva una giovane donna colta, bella, raffinata e libera. Vorrei condividere con voi quel racconto» (Anny Romand). Prefazione di Dacia Maraini.
RECENSIONE
“In famiglia potrebbero ascoltarla, quando racconta la sua storia. Ma ognuno pensa soltanto a se stesso, come dice nonna. «Nessuno mi sta a sentire». IO la sto sempre a sentire, ma io non conto”. (Pag.80)
Carissimi Amanti dei libri,
per la challenge #leviamolapolveredailibri ho letto “Mia nonna d’Armenia” di Anny Romand.
Il genocidio degli armeni avvenuto dal 1915 al 1919 è una delle pagine più tristi della storia dell’umanità che costò la vita ad oltre un milione e mezzo di persone per mano dell’Impero Ottomano. Forse non è conosciuto come altre tragedie che hanno coinvolto milioni di persone innocenti ma porta con sé la sua buona dose di crudeltà e diede inizio alle marce della morte che in seguito furono attuate anche ai tempi del nazismo durante la Seconda Guerra Mondiale. Questa è una delle catastrofi umane che non dovremmo dimenticare e che dovremmo approfondire perché non si ripeta…
Questa breve introduzione mi sembra importante prima di narrarvi brevemente le pagine del libro di Anny Romand…
Il libro “Mia nonna d’Armenia” è una storia vera, una storia in cui emergono dei dettagli tratti dal diario della nonna dell’autrice e dai suoi ricordi di bambina che durante l’infanzia amava perdersi in lunghe chiacchierate con la nonna. Nel 2014, Anny Romand ritrova per caso il diario facendo ordine, è scritto in tre lingue diverse: armeno, francese e greco.
La nonna in settanta pagine di diario racconta la sua esperienza dolorosa: si chiama Serpouhi Hovaghian ed è nata in Armenia nel 1883 in una famiglia della borghesia armena. A quindici anni viene data in sposa e diviene madre di quattro figli… All’inizio del genocidio le sopravvivono solo due figli, viene ucciso il marito… questa sorte toccò a tutti gli uomini armeni della città e come se non bastasse prima di essere spinta in una delle carovane della morte dirette a sud le fu uccisa la figlioletta di quattro mesi. Rimase sola con il figlio di quattro anni…
Quando davanti si prospetta un futuro incerto dove la morte sembra l’unica certezza occorre fare scelte che mai si sarebbe pensato possibili: Serpouhi decide di lasciare il figlio ad una famiglia di contadini perché possa sopravvivere e crescere… Aveva solo 22 anni e la sua vita sera sull’orlo del precipizio.
“ – Perché lo hai dato via, nonna? Sei stata cattiva!
– Saremmo morti tutti e due. Non potevo più tenerlo in braccio. Era troppo pesante. Le guardie ci portavano chissà dove. Il deserto? La morte, altroché!”. (Pag. 63)
La vita di Serpouhi sarà una vita in fuga tra i turchi e attraverso il Mar Nero mentre la follia del genocidio armeno prende piede in modo cruento. Non ha nulla, in tasca le resta solo qualche chicco di melograno che le ricorda di essere viva e di essere armena.
Questo memoir è breve ma intenso. Dolore, fuga, perdita trapassano le pagine e si fondono con la dolcezza di una bambina che con la sua innocenza prova a capire la storia della nonna e del suo popolo…
È una storia che commuove e scuote, che interroga e fa prendere coscienza di quanto sia importante ricordare la vita di chi ha percorso senza colpe strade di morte, di ingiustizie e crudeltà inenarrabili… Quando una sopravvissuta parla di ciò che ha vissuto per continuare a vivere dovremmo inchinare il cuore per rispetto di tanto dolore che se giunto fino a noi non può scomparire come se non fosse mai esistito.
Un libro da leggere, una storia vera che rimanda al dolore di un intero popolo, un memoir che se pur con gli occhi di una bimba mostrano quanto la vita sia forte quando si ama e quando si ha un motivo per non mollare, per andare oltre qualunque orrore!
Un pugno nello stomaco come ogni storia vera che vede massacrare la vita di troppi innocenti. Forse è per questo che non dovremmo chiudere gli occhi… perché ciò che viene dimenticato ritorna più crudele che mai.
Roberta Salis
Lascia un commento